venerdì 19 luglio 2013

Una famosissima giuria cinematografica

Abbiamo parlato in un recente post della giuria popolare spiegando cosa sia e quali siano i pregi nonché i difetti di questo istituto tipico dei paesi anglosassoni e, nel tempo, importato anche da noi anche se in forme diverse da quella tipica. Abbiamo ricordato come spesso, in famosi film americani che narrano di processi,  i giurati siano destinatari di accalorate ed emozionanti arringhe degli avvocati della difesa al fine di indirizzare la decisione della lite a favore del proprio cliente. 
Diversamente vorrei parlare oggi di un bellissimo film del 1957 che parla sì di giuria ma è interamente incentrato sull'attività dei giurati riuniti in camera di consiglio. 
Il titolo originale del film, diretto da Sidney Lumet, è "12 angry man" che è stato tradotto in italiano con "La parola ai giurati".
L'antefatto iniziale è molto breve. Si intuisce che è stato svolto un processo perché nella prima (ed unica scena del film ambientata fuori dalla camera di consiglio) un giudice avverte i giurati che possono ritirarsi per decidere avendo sentito tutte le testimonianze ed assistito ad ogni fase processuale. Li invita inoltre a ponderare con cura la decisione perché, nel caso che emettano un verdetto di colpevolezza per l'accusa di parricidio, la pena per l'imputato, un giovane italiano, sarà quella capitale. 

Così essi si riuniscono in una stanza e vengono lasciati soli. Tutti quanti, per svariati motivi, non hanno elementi per dubitare della colpevolezza dell'accusato: il caso sembra semplice e le prove schiaccianti. Indicono così una prima votazione (necessaria è l'unanimità) convinti di un sicuro esito favorevole, così da potersene tornare alle rispettive occupazioni con il minor spreco di tempo possibile. In realtà uno del gruppo vota "contrario" (è il giurato numero n.8 interpretato dal grande Henry Fonda) e compie questo atto sulla base di un "ragionevole dubbio" che l'imputato sia innocente. Certamente, sostiene, le prove contro di lui sono schiaccianti ma, dipendendo da quella decisione la sopravvivenza di una vita umana, egli ritiene che la discussione non possa essere liquidata in pochi minuti e meriti un dibattito più approfondito. Gli altri sono, per lo più, infastiditi dall'imprevisto e si scagliano contro chi non si conforma al gruppo maggioritario. Dopo uno scambio di vedute, viene stabilito di procedere ad una seconda votazione: il giurato n.8 acconsente a modificare il suo voto verso il "si" nel caso in cui nessun'altro dei presenti avesse deciso di cambiare il proprio.
Inaspettatamente un'altro giurato, un anziano signore, modifica la propria scelta iniziale (la situazione è ora di 10 a 2) condividendo la preoccupazione del collega nel non emettere un verdetto affrettato. 
Di qui attraverso lo svolgersi del film il giurato n.8, architetto di professione, riesce piano piano a persuadere tutti gli altri ad assolvere il ragazzo accusato di omicidio.
Egli dimostra, con la collaborazione di coloro che progressivamente si schierano sul fronte dell'innocenza, che le principali prove contro l'imputato (due testimonianze: una uditiva di un vecchio del piano sovrastante l'appartamento in cui si è consumato il delitto e una visiva di una donna che si trovava in una casa dell'altra parte della strada) non sono così schiaccianti come sembrano e anzi sono frutto, probabilmente, di travisazione e addirittura di menzogna. Lentamente emerge che il processo è stato condotto in modo affrettato, e che l'imputato è stato difeso da uno svogliato avvocato d'ufficio, il quale ha trascurato aspetti essenziali della vicenda e non ha posto domande fondamentali per chiarire la posizione del suo assistito.
Inoltre, al di là dell'aspetto giuridico inerente alla valutazione della prova, nel corso del dibattito vengono messi a nudo sentimenti di alcuni giurati i quali non dovrebbero mai trovare spazio in una valutazione oggettiva quale quella processuale (ad esempio pregiudizi razziali, influenze di negativi rapporti personali tra padre e figlio o la fretta di decidere dovuta a futili interessi come l'inizio di una partita di baseball).
Il verdetto finale è unanime: "Innocente!". E così il film si chiude con una stretta di mano estasiata tra il vecchio giurato che fu il primo a cambiare la sua opinione ed il giurato numero 8 che fu il primo a "dubitare".

Il film è uno straordinario esempio di come funzioni una giuria e di quali siano i problemi concreti che si pongono ogni qualvolta persone molto diverse vengono riunite in una stanza per prendere una decisione rilevante. Inoltre ancor più dell'aspetto processuale è interessante qui l'analisi della psicologia dei soggetti e, soprattutto, di come un singolo sia in grado, da solo, di influenzare con successo l'opinione dominante e modificare l'esito di una discussione collegiale sia attraverso argomentazioni convincenti sia mediante quelle sottigliezze psicologiche che sono innate abilità dei migliori oratori senza che le abbiano necessariamente studiate. 

Per l'articolo citato all'inizio, introduttivo alll'insituto della giuria, potete leggere La giuria popolare nel processo 

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