sabato 30 giugno 2012

Praha-Pankrac: viaggio dentro una prigione moderna

Per un articolo un po' diverso dal solito vi vogliamo raccontare brevemente quella che è stata una nostra esperienza di vita molto significativa che abbiamo avuto l'opportunità di sperimentare grazie all'Università che frequentiamo. E' bene sottolineare infatti che l'impostazione giornalistica della narrazione e il fatto che raccontiamo, forse per la prima volta su questo blog, un'esperienza vissuta sulla nostra pelle non comportano un troppo netto allontanamento dagli argomenti che siamo soliti trattare. 
L'esperienza di cui parlo è la visita al carcere di Pankrac a Praga, capitale della Repubblica Ceca, effettuata, insieme ad altri sudenti, lo scorso 11 Maggio.

Arrivando a piedi dal centro della città la struttura non si vede essendo al centro di un grande isolato sui cui lati sono erette altre costruzioni. L'ingresso è piuttosto piccolo, c'è una saletta d'aspetto e uno stretto corridoio con degli armadietti nei quali veniamo invitati a depositare telefoni, macchine fotografiche, oggetti di metallo e anche tutto ciò che non desideriamo portare all'interno. Ovviamente questo è solo il primo degli accorgimenti che servono a tutelare la riservatezza dei detenuti, la sicurezza della prigione e il segreto di Stato sulle strutture carcerarie.
La nostra comitiva si compone di una cinquantina di persone e la nostra visita è stata preventivamente autorizzata dalle competenti autorità ceche dietro interessamento dell'ambasciata italiana: già prima di lasciare l'Italia i nomi di coloro che erano interessati alla visita erano stati comunicati al fine di un vaglio di idoneità per poter entrare nel carcere. Per fortuna l'esito è stato positivo per tutti. 
Dopo aver lasciato i nostri effetti personali a gruppetti di tre persone superiamo il primo cancello e le guardie procedono alla nostra identificazione ed, in seguito, ad una ispezione sotto un metal detector. Compiuti tutti questi controlli usciamo da una porta e ci troviamo in un cortile. Di fronte a noi si apre l'ingresso della prigione costruita verso la fine del 1800 e giunta fino a noi attraversando da protagonista periodi tragici della storia umana quali il Nazismo e il Comunismo, ideologie che utilizzavano le prigioni come strumenti di repressione polica e non solo.
Poiché siamo piuttosto numerosi veniamo suddivisi in due gruppi ed il nostro è il primo ad accedere alla struttura detentiva. Non si possono contare le porte sbarrate, i cancelli, le guardie che incontriamo lungo il tragitto. Siamo accompagnati da due guardie e la nostra guida è anch'essa in servizio presso la struttura. Poiché abbiamo con noi degli interpreti la comunicazione si rivela più agevole e proficua del previsto. 
I cigolii delle porte ci accompagnano costantemente ed incontriamo i primi detenuti scortati da secondini. La guida ci spiega che Pankrac è un carcere piuttosto grande e contiene sia detenuti per una condanna a titolo definitivo (ossia dopo la conclusione del processo a loro carico) sia detenuti in via cautelare (ossia soggetti che sono in attesa di giudizio o per i quali il giudizio è ancora in corso). Vi si trovano soggetti di ogni nazionalità e, dopo i cechi, spiccano i russi per numero. Ci sono uomini, donne, minori e anche soggetti malati di mente e ci viene reso noto che durante la visita ci sarà consentito di accedere solo alla zona con i detenuti in via cautelare per imputazioni meno gravi. 
Dunque, la prima fermata della visita è di fronte a due celle in cui sono rinchiuse persone appena giunte nel carcere. E' questo l'unico momento in cui possiamo vedere un essere umano dietro delle sbarre ma, a dire la verità, faccio fatica a guardarli, quasi mi vergogno perché non ho altro titolo se non quello di visitatore per partecipare alla loro sofferenza. Non mi sembra sufficiente.
Saliamo le scale verso il secondo piano, ogni finestra è sbarrata o protetta da una grata. Ci sentiamo oppressi noi, liberi, che ci troviamo qui per scelta ben consapevoli che più tardi usciremo. Credo che questa sovrabbondanza di porte, cancelli e sbarre sia finalizzata più ad una coazione psicologica della volontà di ribellione o fuga dei soggetti poiché anche con la metà delle protezioni non vedrei come si possa sperare di evadere. 
Arriviamo al piano del settore della custodia preventiva di minima pericolosità. Con mio sollievo, per questioni di privacy dei detenuti, le guardie li obbligano ad entrare nelle celle ai lati del corridoio nascondendoli alla nostra vista. Le porte sono di acciaio spesso e non consentono di vedere all'interno, le uniche aperture, quella per il cibo ed una all'altezza degli occhi, sono occluse. Un pò mi sento in colpa per il fatto che con la nostra visita abbiamo contribuito a ridurre il loro tempo di ricreazione.
Quella che abbiamo davanti agli occhi è l'esatta replica degli altri piani della prigione: un lungo corridoio ai cui lati si aprono numerose celle. In questo piano ci sono delle panche ed una televisione comune, infatti i detenuti di questo settore sono destinatari del trattamento carcerario meno rigido e possono stare fuori dalle celle per la maggior parte della giornata. Ci viene detto, però, che per molti condannati il tempo di reclusione arriva a 23 ore giornaliere. Alcune stanze sono in ristrutturazione per ammodernarle e le possiamo visitare: alcune sono già quelle nuove, una invece è ancora del vecchio stile e possiamo notare le differenze. Le celle sono piccole, hanno due posti ciascuna e il bagno è nella medesima stanza; la differenza maggiore tra le vecchie e le nuove in tema di vivibilità è il gabinetto, solo nelle seconde è coperto da un separè di legno. Sui muri si notano i segni della presenza umana, della religione, della famiglia e della repressione sessuale. 
Continuiamo il nostro percorso diretti verso l'esterno della prigione. Ogni tanto si incontrano guardie con cani lupo al guinzaglio che girano alla ricerca, forse, di droga.
Appena fuori, nel cortile retrostante l'ingresso, si trova un'officina metallurgica dove i condannati sono ammessi al lavoro. I criteri di scelta per essere assegnati alle mansioni sono, essenzialmente, la bassa pericolosità, la abilità lavorativa e la povertà, che comporta la necessità di guadagno per pagarsi il mantenimento in carcere (anche in Repubblica Ceca, come in Italia, le spese per il soggiorno in carcere sono in gran parte a carico del condannato attraverso un meccanismo che prevedere un'anticipazione da parte dello Stato che successivamente può rivalersi sul soggetto). Ciò che viene prodotto dal lavoro dei detenuti (ad esempio un'opera complessa che osserviamo è una piccola casetta prefabbricata, ma vi sono anche cose più semplici come utensileria e decorazioni) viene poi donato o messo in vendita sul sito ufficiale del carcere
Dopo aver visitato l'officina, continuando a camminare, giungiamo all'ospedale. Pankrac è infatti uno dei pochi carceri dotato di una struttura ospedaliera pienamente operativa. La necessità di avere luoghi di cura all'interno delle prigioni è essenzialemnte quella di non consentirre che i detenuti possano "uscire" nemmeno per motivi di salute. Ci viene spiegato che nell'ospedale di Pankrac si eseguono anche interventi chirurgici piuttosto complessi e che, a volte, i tempi di attesa sono inferiori a quelli normali.
E così giungiamo alla fine della visita, incontriamo il secondo gruppo dei nostri compagni e ci scambiamo le consegne: ora tocca a loro visitare il carcere mentre a noi il museo. Questo, situato nel cortile d'ingresso è curato molto dettagliatamente e contiene interessanti documenti storici nonchè le ricostruzioni su manichini di tutte le divise dei secondini che si sono succeduti nella storia di Pankcrac. Il direttore del museo ci guida attraverso le sale fino alle ultime, macabre, stanze che non sono state toccate dal periodo della dominazione nazista ad oggi. Ci sono in ordine la sala del giudizio e, dietro un sipario nero, la sala delle esecuzioni con la sedia elettrica, i cappi appesi al soffitto ed attrezzi di tortura alle pareti. Per ultima si trova la sala in cui i cadaveri e, purtroppo, anche i vivi venivano incassati per essere destinati ai forni crematori. Il pavimento della sala è leggermente inclinato verso il centro dove si trova un tombino: questo accorgimento serviva per fare defluire il sangue nello scolo! Si notano bene i solchi lasciati dai rivoli di sangue, segni incancellabili che per la loro intensità di colore e di significato appaiono attualissimi.
Ci ritroviamo fuori dai cancelli e dal carcere, in un misto di tristezza ma anche di sollievo. L'esperienza è stata forte e, nonostante il museo con le sue storie di tortura e dominazione, morte e crudeltà, ci abbia fornito un esempio visivo di ciò che noi giovani dobbiamo impegnarci a non ripetere mai, non posso non pensare con commozione che la storia, per quanto tragica, rimane tale; tristezze enormi le abbiamo percepite con forza in un carcere, nel 2012.



Collegamenti ad articoli del nostro blog sul tema della prigionia carceraria: Violazioni dei diritti umani nelle carceri? e Colpevole e straniero: un processo letterario


Wikipedia su Pankrac

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