mercoledì 2 maggio 2012

Class action contro la Nutella: Ferrero condannata al risarcimento dei consumatori americani


Sempre per rimanere nel tema del nostro precedente articolo, riguardante le differenze tra la class action "all'americana" e quella italiana, ci interessiamo del recente caso riportato su molti giornali di una class action proposta da una madre americana contro la Nutella Inc., filiale statunitense della multinazionale italiana Ferrero, e da lei vinta con l'ottenimento di un risarcimento di 3 milioni di euro.

La signora Athena Hohenberg, di San Diego, iniziò la causa nel febbraio 2011 a seguito della diffusione sugli schermi televisivi statunitensi di uno spot che descriveva la Nutella come un prodotto "nutriente" e "salutare". La domanda rivolta al giudice aveva quindi ad oggetto innanzitutto quello di accertare e dichiarare l'ingannevolezza di tale pubblicità. Nello spot la Nutella era presentata come un prodotto nutriente e "parte di una colazione equilibrata e sana", adatta ai bambini, per cui la donna lo aveva fatto mangiare alla figlia di 4 anni. Più tardi, invece, avrebbe scoperto che la famosa cioccolata conteneva "pericolosi livelli di grassi saturi" , niente affatto salutari. Anzi, a differenza di ciò che si diceva nello spot, solo due cucchiai di nutella contenevano circa 200 calorie, di cui la metà di  grassi. 
Per questi motivi la donna intentò la causa contro l'azienda promotrice della pubblicità ingannevole. Ben presto da causa singola si trasformò in un'azione di classe essendosi aggiunti molti altri ricorrenti. Il giudice, dando ragione a quest'ultimi, ha ordinato l'immediato ritiro dello spot nonchè condannato l'azienda al pagamento di un risarcimento di 3 milioni di euro. Inoltre, a riprova ulteriore della fortissima capacità aggregativa della class action americana, che permette a ogni interessato alla causa di aderirvi successivamente all'emissione della sentenza (cosa impensabile con la class action italiana), il giudice ha anche deciso che chiunque dimostri di aver acquistato un barattolo di Nutella negli Stati Uniti tra l'1 gennaio 2008 e il 3 febbraio 2012 può presentare denuncia fino al prossimo 5 luglio e avrà diritto a 4 dollari per ogni confezione comprata. La somma reale del risarcimento che l'azienda sarà potenzialmente costretta a devolvere è quindi ancora da definire e potrebbe essere ben più elevata.

Stando così i fatti sembra assurdo pensare che nell'america dei fast food e della nutrizione "insensata" un giudice abbia potuto dare ragione alle lamentele di questi soggetti, che avrebbero potuto osservare l'ordinaria diligenza del consumatore, leggendo le etichette nonché sfruttando la comune esperienza di vita, per non essere "ingannati" dallo spot incriminato. Ma, a riprova del fatto che la tutela del consumatore contro i messaggi pubblicitari passivi e non veritieri sia uno degli aspetti nevralgici del diritto attuale in un modo globalizzato, è da notare come la vittoria ottenuta con questa class action focalizzi l'attenzione sull'affidamento e l'incitamento alla spesa che la pubblicità crea nei clienti, piuttosto che sulla diligenza media del consumatore. Non vi possono essere pubblicità non veritiere perchè in qualche modo esse falsano anche una realtà che il consumatore, se non le avesse viste, avrebbe potuto apprezzare correttamente.
Il consumo diffuso è uno dei terreni in cui si esprime al meglio la potenzialità della class action, anzi è il terreno fisiologico per la riunione delle pretese giudiziarie. Non a caso in Italia l'unica azione di classe prevista nell'ordinamento è collocata nel Codice del Consumo. Questo è dovuto al fatto che la tutela dei singoli contro le multinazionali che propongono e vendono sul mercato prodotti in modo unilaterale può attuarsi a fondo solo riunendo le pretese: è l'antico concetto de "l'unione fa la forza".

Che nel caso di ispecie vi fossero, in effetti, dei concreti profili di pregiudizio verso i consumatori e che non si trattasse di una mera pretesa temeraria è dimostrato indirettamente dal fatto che, dopo la sentenza di condanna, la filiale americana della Ferrero, ha accettato di cambiare la sua campagna marketing negli Usa e di modificare l'etichetta presente sulla confezione dove saranno specificati i livelli di grassi e di zuccheri contenuti nel prodotto. Inoltre nuove correzioni saranno apportate anche sul sito web dell'azienda e soprattutto saranno realizzati nuovi spot pubblicitari
Sono questi i contenuti principali di un accordo transattivo raggiunto negli USA tra azienda e rappresentanti dei consumatori successivamente all'avvenuta condanna.

Collegamento all'articolo del blog, citato all'inizio, per una più puntuale disamina strutturale della class action americana e quella italiana: L'azione di class ex 140-bis codice del consumo: una questione di stile o di unione?

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